“To be or not to be? This is a problem”. Essere o non essere, questo è il problema.
La radice dell’indecisione impediva ad uno dei personaggi shakespeariani più celebri – Amleto – di agire.
Vivere, e quindi agire, investendo su modalità di Marketing e Comunicazione completamente diversi dal passato o mantenere invariato il proprio modello di business, esponendosi al rischio della morte? Questo potrebbe metaforicamente essere il dubbio amletico delle aziende che si interfacciano oggi con il mondo digitale.
Il BE-Wizard! 2016 ha appena chiuso i battenti e noi di Social Più, in qualità di praticanti di uno dei settori più in crescita del web-marketing, appunto quello che passa attraverso i Social Network, non potevamo non essere presenti. Proverò quindi a riassumere brevemente quanto appreso.
Ma prima, una dovuta premessa: chi vi parla è un ex-giornalista, alla prima esperienza con un evento di formazione dedicato al Digital Marketing. Vi chiederete: ma come? Tranquilli: non userò tecnicismi in questo post. Parlerò comunque di qualcosa di molto importante, per chiunque si approcci al mondo digitale. Qualcosa racchiuso in due delle illuminanti affermazioni dei relatori che hanno inaugurato l’ottava edizione del Be-Wizard, Peter Fisk e Mathew Sweezey:
- Il 95% dei millenials, la generazione nata nel 21° secolo, si informa e chiede informazioni sui social
- Il 71% dei clienti è deluso dal contenuto che trova
Siamo quindi immersi in un mondo di contenuti, contenuti che veicolano informazioni, di cui la qualità per poter essere rilevanti è sempre più importante. Probabilmente è proprio per questo che in almeno due sezioni – BW Digital Food e BW Turismo – e, per la prima volta, in un’area completamente dedicata al tema – Welcoming Cities – si è discusso molto di come creare il contenuto perfetto.
E allora, la parola magica è… storytelling! Letteralmente: l’arte di raccontare storie. Ora dobbiamo capire perché.
Storytelling così semplice, così difficile
Prima di tutto, è necessario chiarire un aspetto, magari doloroso, per chi vuole sempre vedere la novità in tutte le cose: lo storytelling non è un’innovazione. Esiste da quando esiste l’uomo, che fa di questa modalità di comunicazione il suo principale metodo di apprendimento. Un esempio può aiutare a capire tutto questo facilmente: torniamo indietro di 17.500 anni.
Siamo nelle Grotte di Lascaux, un complesso di caverne che si trova nella Francia sud-occidentale. L’Homo di Neanderthal, nostro parente più prossimo, sente la necessità di incidere sulla roccia alcune scene di caccia.
Perché? I motivi possono essere molteplici, ma tra questi uno non può mancare: tramandare alle generazioni che avrebbero vissuto dopo di lui un evento particolare. Come? Disegnandolo.
E cos’è questo se non storytelling?
Eccoci quindi alla prima considerazione da appuntare: l’uomo racconta storie da sempre. O almeno: da quando ha la capacità mentale di farlo.
Torniamo al 2016. Una volta appreso quanto scritto sopra, un interrogativo rimane: perché oggi è così importante raccontare storie? E perché lo fanno tutti?
Secondo appunto: Perché per la prima volta abbiamo a disposizione una tecnologia che permette a chiunque, in modo piuttosto semplice e veloce rispetto al passato, di poterle raccontare. Una tecnologia talmente potente da riunire sotto di se tutti i linguaggi comunicativi del passato: scritto, audio, visivo. Addirittura, in alcuni esperimenti di realtà aumentata che già alcune aziende – come Google, ad esempio – compiono, tattile. In una parola: transmedialità.
Quindi, facciamo le valige e saliamo tutti sul carro dello storytelling? Attenzione. Le storie hanno un grande potere, come ha ricordato Andrea Pollarini introducendo la serie d’incontri della rassegna Welcoming Cities: modulare l’intensità dell’interesse. Ma proprio per questo, parafrasando uno dei miei fumetti preferiti – Spiderman, ho sempre sognato di poterlo citare un giorno – racchiudono grandi responsabilità. Ergo, seguendo alcune linee guida indicate dal relatore Luca Bove durante il suo intervento a BW-Food:
- se non sarete sinceri i vostri clienti se ne accorgeranno;
- se non trasmetterete passione nel vostro racconto, i vostri clienti lo ignoreranno;
- infine: se non sarete in qualche modo innovativi nel raccontarla, la vostra storia rischierà di essere bellissima, ma, proprio perché simile a quella di mille altri utenti web, velleitaria.
Le quattro parole chiave dello storytelling
Ecco quindi le quattro parole magiche che ogni azienda dovrebbe adottare nel raccontare storie, elencate sempre da Pollarini: sperimentazione, passione, sincerità, velocità. Mi permetto un appunto sull’ultima: con attenzione. Meglio un contenuto realmente significativo spendendo più tempo del previsto che uno impreciso condiviso velocemente. Non abbiate fretta: la rapidità verrà con il tempo. Intanto, se il mondo digitale non vi lascia indifferenti (e quello dei social ancor di meno), avete già compiuto un grande passo: una ricerca di Confesercenti mostra, ad esempio, che solo 1/3 dei ristoranti italiani ha scelto di dotarsi di un sito web. Il digital divide può essere iscritto ancora oggi alla lista dei grandi limiti soggiacenti allo sviluppo del nostro paese.
Ma questo è un altro discorso.
Torniamo a noi. Concedetemi di elencare qualche rapido consiglio, unito ai tanti spunti e alle storie migliori che ho potuto ascoltare dai relatori del BE-Wizard! 2016:
- Aprite il vostro album dei ricordi! Questo non vuol dire solo condividere materiale fotografico, ma anche video, libri, registrazioni. Ma soprattutto: condividete anche i vostri insuccessi. Sembrerà una frase fatta ma: la vostra storia siete voi. E tutte le storie hanno alti e bassi. Non vi ho convinto? Chiedete allora a Maura Romano , presidente di MeltingPro e all’ambizioso progetto IntuS. Obiettivo? Cambiare l’immagine della città di Corleone, tristemente famosa per essere teatro di importanti vicende legate alla mafia. E proprio dai fatti di mafia bisognava partire per poter proporre un immagine diversa dalla città: digitalizzando tutta la documentazione del maxi- processo conservata presso gli archivi del CIDMA. Trasformarli in un linguaggio comprensibile a tutti. Viralizzarli grazie ai social network. E infine, mostrare l’altra faccia di Corleone: storie bellissime di persone comuni, che con la mafia non c’entrano nulla.
- Non siate timidi! Le storie migliori sono racchiuse nelle persone che abitano un luogo, lo vivono, magari ci lavorano. Per capire meglio chiedete ad Andreas Tschurtshenthaler responsabile per il reparto PR & Content Management di IDM Alto Adige, e al progetto di comunicazione “Storie da Vivere”. Narrazioni che sanno ispirare, emozionare, commuovere, raccontate dagli altoatesini a tutto il mondo. Con una filosofia davvero molto interessante:
- Guardatevi intorno, il mondo offline è una miniera infinita di spunti. Poi… condivideteli!
I fumetti satirici di Bruxelles, il teatro multisensoriale dei Rimini Protokoll, l’intera città che si trasforma in un grande videogame grazie al progetto Playable City - Fatevi dare una mano. Non tutti possiamo occuparci di tutto. Seguite il consiglio di Luca Vescovi, socio fondatore di GestioneAlbergo.it: “Delegate la vostra agenzia alla scelta del layout grafico. Voi pensate a differenziare il vostro hotel”.
E una volta che avrete capito in cosa la vostra attività differisce da tutte le altre, avrete anche trovato la storia giusta da raccontare.
Posso in conclusione dare una risposta ai vostri dubbi amletici sull’ importanza di dotarvi di una buona comunicazione digitale? “Se i vostri futuri clienti vi dicono: tutto molto interessante, ma sai, il mio settore… Alzatevi, sono dinosauri che camminano” vi risponderebbe Alessandro Rimassa, direttore e cofondatore di TAG Innovation School, nella relazione che ha chiuso il BE-Wizard! 2016. E d’altronde, come dargli torto?
E allora la risposta giusta è essere, assolutamente essere. Agire e raccontare: ma finché le regole del gioco non vi saranno più chiare, una guida può sempre aiutarvi a farlo.