The Inbounder Global 2018: il racconto della seconda giornata.

The Inbounder Global 2018: il racconto della seconda giornata.

Il mese scorso ti avevamo raccontato il primo giorno di The Inbounder, la conferenza internazionale sulla SEO e il Digital Marketing a cui ha partecipato la nostra Jenny Mina, responsabile del reparto SEO di TITANKA!. Oggi lasciamo nuovamente la parola a Jenny per raccontare la seconda giornata di lavori.

Il secondo giorno a The Inbounder 2018: gli speech della mattina.

Il secondo giorno a The Inbounder è cominciato presto: alle 9:10 con l’intervento di Lexi Mills sul Digital Storytelling e sul futuro del marketing.

Portando diversi esempi e casi di successo, Lexi ha spiegato come costruire dei contenuti che coinvolgano le persone, ma che allo stesso tempo piacciano anche a Google e, soprattutto, ai giornalisti, sempre in prima linea nella diffusione online di contenuti. Ogni argomento può diventare estremamente popolare, con i giusti “alleati”.

Ashley Friedlein ha presentato il suo modello M3 ovvero il Modern Marketing Model: un approccio nuovo e più moderno per integrare il marketing tradizionale con il marketing digitale. In una carrellata di slide, Ashley ha raccontato del passaggio dal marketing mix basato su prodotto, prezzo, distribuzione e promozione (la famosa teoria delle 4P di McCharthy) al modello di marketing moderno, in cui il marketing classico si fonde con il digital marketing in unico procedimento di valutazione e attuazione delle tecniche.

The Inbounder Global 2018: il racconto della seconda giornata. 1

A seguire, Russel McAthy ha parlato di consumatori, valore e azioni, spiegando come sia necessario che i marketer cambino mentalità e modo di lavorare. Fare marketing sulla parte centrale del funnel è certamente la più grande opportunità che un’azienda possa avere: un utente che ha già convertito sarà più propenso ad acquistare nuovamente. Anche se l’azienda ha investito molto in promozione per portare quell’utente a convertire, il costo sarà ammortizzato dagli acquisti successivi di quel consumatore fidelizzato. Cosa fare quindi? Russel suggerisce di non sottovalutare la SEO e di usare i segmenti avanzati di Google Analytics per riportare gli utenti sul proprio sito.

In chiusura della prima mezza mattinata di lavori, Purna Virji ci ha portato in un vero e proprio viaggio nel mondo dell’AI, spiegando come la ricerca si sia evoluta, grazie anche a una sempre maggiore consapevolezza dell’utente. Nel fare ricerche online, si è passati dal digitare una parola o una frase alla ricerca per immagini, che permette di trovare servizi o prodotti quando non si conoscono le parole per descriverli, fino ad arrivare alla ricerca tramite assistenti digitali.

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Secondo Purna il futuro della ricerca online passa dalle immagini (necessario avere immagini ottimizzate, quindi, occhio ai microdati e ai formati!), ma il nuovo trend da tenere d’occhio è la ricerca vocale, come avevamo già avuto occasione di sottolineare all’inizio dell’anno in un precedente articolo sui cambiamenti della SEO nel 2018. L’obiettivo da raggiungere è quindi la “posizione 0” nei risultati di ricerca “vocali”: i bot diventeranno i nostri migliori amici?

Dopo la pausa caffè con biscotti e chiacchiere, si torna al lavoro con un interessante intervento di Mike King, legato al fallimento di un e-commerce di musica online, penalizzato da Panda. Nonostante tutti gli sforzi per migliorare i contenuti e ottimizzare il sito, i risultati sperati non sono arrivati. Cosa ci insegna questo caso studio? Secondo Mike, il primo passo da compiere è quello di individuare la step function, ovvero l’attività che portata avanti in maniera costante per un certo periodo di tempo, permetta di raggiungere i risultati; il secondo passo è quello di testare ogni azione in anticipo.

L’intervento di Mike si è chiuso con una serie di consigli da mettere in pratica e di tool da sperimentare per evitare di commettere i suoi stessi errori e ottenere risultati in termini di performance, qualità delle visite e ranking.

Con Peep Laja abbiamo scoperto, o meglio, siamo stati messi di fronte a una verità inconfutabile: ci piacciono le scorciatoie! Noi tutti cerchiamo sempre di ottimizzare la nostra vita per renderla migliore, ma vogliamo raggiungere questi risultati nel minor tempo possibile, facendo il minor sforzo possibile. Molto spesso, applichiamo queste “abitudini” anche alle nostre strategie di marketing: tendiamo a cercare soluzioni più semplici e meno impegnative, senza valutare cosa occorre davvero al nostro business.

L’errore più grande che molti marketer commettono è quello di copiare dai competitor, quando neanche loro hanno idea di cosa stanno facendo. Molto spesso, inoltre, crediamo che una tecnica utilizzata per un cliente e per un determinato scopo, se è funzionante, vada bene in maniera trasversale per tutti i settori, tutti i target e tutti gli obiettivi: questo ci induce, quindi, a utilizzare delle tecniche senza uno studio reale, solo perché su un altro prodotto, su un altro target o un altro modello, hanno funzionato.

Ma quindi non esistono modelli replicabili? Nonostante le premesse, Peep ci ha fornito buone notizie: dopo aver tracciato un’attività e aver riscontrato dei risultati, possiamo replicare quest’attività su mercati e target equivalenti a quelli in cui abbiamo ottenuto dei risultati. Ecco alcuni esempi di pattern replicabili:

  • Sconti in seguito all’iscrizione alla newsletter;
  • Spedizioni gratuite;
  • % di sconto su lead;
  • Pop up per iscrizione alla newsletter (soprattutto per aziende);
  • Inserimento di un costo di iscrizione a un servizio più alto accanto al più economico: ad esempio, costo mensile vs. annuale, costo base vs senior.

Torna sul palco di The Inbounder il tema delle fake news insieme a Lindsay Wassell. La protezione del brand dalle false notizie parte dalla diffusione di messaggi positivi (ma veri!) all’interno di siti autorevoli: Google valuta sia l’autorità del dominio che linka al proprio sito web, sia l’autorità della pagina in cui è presente il contenuto specifico.

Per assicurarci che le fake news non contaminino il nostro brand è bene avere il controllo su tutta la prima pagina di Google, disseminando contenuti autorevoli: attraverso un sito proprietario, tramite canali social verificati e gestiti dal brand, grazie a pubblicazioni sull’azienda e siti autorevoli che danno informazioni reali sulla nostra attività.

Di come creare contenuti davvero rilevanti e utili per i nostri possibili clienti ne ha parlato Mauro A. Fuentes Àlvarez, che ha presentato una “gerarchia di momenti” grazie ai quali creare dei contenuti in linea con la comunicazione aziendale. Mauro è partito dall’individuazione dell’occasione o evento, per poi restringere il campo al momento e al micro-momento, facendo alcuni esempi pratici. Ad esempio, se l’occasione è la festività di Natale e il momento è rappresentato dalla cena di Natale, ci sono diversi micro-momenti che l’azienda può sfruttare per creare dei contenuti dedicati: il brindisi di Natale, le decorazioni per la cena di Natale, le ricette natalizie o, ancora, cosa comprare per la cena di Natale.

Ogni micro-momento può essere sfruttato in base a specifici obiettivi aziendali: costruzione della fiducia per far avvicinare le persone al proprio brand e trasformarle in lead; fidelizzazione dei clienti; aumento del valore commerciale di un prodotto o servizio.

Il secondo giorno a The Inbounder 2018: gli speech del pomeriggio.

Il pomeriggio riprende con l’energico intervento di Oli Gardner che ha parlato di design, di dati e di “ingegneria” per dare vita alla landing page perfetta. Ovviamente, non esistono formule magiche o realtà assolute, ma insieme a Oli abbiamo visto alcuni trucchi che, nel corso del tempo, hanno reso le sue landing page più performanti per tutti i mercati:

  1. Riconoscibilità: bisogna dimenticare la comunicazione “siamo i numeri 1!”, ma fare in modo che in meno di 5 secondi il cliente sappia perfettamente qual è il prodotto che vendiamo o quale servizio stiamo proponendo;
  2. Distrazioni: ridurre al minimo o eliminare del tutto ogni distrazione sulla nostra pagina di conversione fa sì che l’attenzione sia focalizzata sulla call-to-action, ovvero sull’azione che vogliamo che compia l’utente;
  3. Immagine visiva: scegliere la giusta immagine per il prodotto o servizio venduto dall’azienda aiuta a incrementare le conversioni;
  4. Copy chiaro: usare contrasti di colore, raggruppare le informazioni e lasciare spazi bianchi aiuta a dare un’informazione più comprensibile.
  5. Form brevi o mediamente lunghi: per un utente non c’è molta differenza tra la compilazione di un modulo con 4 o 7 campi, ma un utente molto motivato può arrivare a compilarne anche 10! L’importante è testare, ricordando sempre a chi ci stiamo rivolgendo.

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Dopo Oli, Wil Reynolds ha tenuto uno speech sugli strumenti migliori per analizzare i dati raccolti e capire quali sono prioritari per posizionare il sito in una determinata query di ricerca; difatti, quando sono attivi molti servizi di Google, bisogna saper leggere cosa è prioritario in quella query e lavorare di conseguenza. Non sempre l’organico è il risultato prioritario!

I fattori di posizionamento sono tanti, ma gli unici fattori di posizionamento che contano davvero sono quelli che impattano sulla query su cui si sta lavorando. Il suo intervento si è concentrato soprattutto su come trovare risposte reali a domande come “chi sono realmente i miei competitor”’ o “quali sono le mie parole chiavi”. Un concentrato di concretezza!

A seguire Joanna Lord ci ha parlato di come costruire un “Dream Team”: quali figure cercare, come cercarle e come formare un team coeso che possa fare davvero la differenza. I team, infatti, non rimarranno sempre gli stessi: le figure necessarie per svolgere un lavoro così come le persone stesse possono cambiare a seconda delle necessità di mercato o dell’azienda stessa. Non possiamo pretendere che il nostro team rimanga immutato nel corso degli anni. Ogni azienda deve organizzarsi per fare ciò che è più giusto per il proprio business: ciò significa anche assumere nuove risorse con le competenze necessarie per migliorare le performance dell’azienda.

Il momento “clou” della giornata si avvicina: a chiudere The Inbounder 2018 e questa seconda giornata di lavori è Rand Fishkin, Founder & Ceo di SparkToro, una delle personalità di spicco nel mondo SEO e del web marketing.

Rand ha condiviso il proprio punto di vista sull’evoluzione della SEO, mostrando come molto spesso i dati vengano letti in maniera sbagliata, generando errori nella diffusione delle notizie: Google è ancora il primo canale da cui proviene la maggioranza del traffico ai siti, anche se c’è un forte aumento di ricerche che non generano click sui risultati.

Un altro dato da analizzare riguarda i risultati delle Pay-per-Click su Google: in questo momento il 90% del budget per la promozione viene speso su questo canale per “guadagnare” solo l’8% dei click che fatti durante le ricerche.

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Molte aziende non credono più nel canale SEO come principale fonte di visite, nonostante per ogni click su a pagamento, ne arrivino 20 da organico.

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L’avvento del mobile e delle risposte in query da parte di Google ha, di fatto, contribuito a far diminuire ancora di più la percentuale di click sui siti web provenienti dai risultati di ricerca, portando la percentuale di query senza click da mobile al 61.03%.

Query senza click, prime pagine dominate da pochi, anche se accessibili per tutti: cosa fare in questo caso? Rand ha proposto tre possibili soluzioni: diventare un brand, scegliere una nicchia ultra selezionata, sfruttare i siti già posizionati, inserendo i nostri contenuti all’interno delle loro pagine.

Come possiamo ottimizzare i nostri siti web? Evitando di lavorare sulle parole chiavi, ma sugli intenti di ricerca delle persone. Google capisce l’intento di una ricerca e, nel riportare i risultati, non si basa esclusivamente sulle parole digitate, bensì offre anche i risultati che rispondano all’intento reale della ricerca.

5 punti per una migliore “ottimizzazione per intenti”
  1. Fare una lista di informazioni che l’utente sta cercando e dei problemi a cui vuole dare soluzione con la sua ricerca;
  2. Visitare tutte le pagine posizionate tra i primi 10/20 risultati e aggiungere alla lista tutti i quesiti a cui viene data una soluzione;
  3. Usare suggeritori come le ricerche correlate, i comparatori di ranking o l’intuito per stabilire un ordine di priorità nella lista;
  4. Scrivere un titolo o una headline che risolva i primi 3 problemi;
  5. Ottimizzare il layout della pagina in modo da risolvere tutti i problemi correlati, seguendo l’ordine della lista realizzata in precedenza.

In un mondo perfetto, questa attività basterebbe per posizionarsi su Google tra le prime posizioni o addirittura nella posizione zero! Purtroppo, però, il posizionamento dipende ancora da una somma di fattori, rilevanti e irrilevanti, compiuta dall’algoritmo di Google: per cui, si trovano risultati mediocri o scarsi tra i primi risultati di ricerca, solo grazie all’autorità del dominio.

L’ultimo consiglio che Rand ci ha dato è quello di far interagire il più possibile gli utenti con i nostri contenuti: questo è un fattore di ranking valutato positivamente da Google.

Con i ringraziamenti conclusivi degli organizzatori, anche questo The Inbounder si è concluso, lasciandomi con un bagaglio di tool, nozioni e nuovi punti di vista su cui lavorare per rendere il tuo sito migliore, sotto ogni punto di vista!

Così si conclude l’avventura della nostra Jenny Mina, inviata speciale per TITANKA! a The Inbounder Global 2018. Vuoi scoprire quali suggerimenti ha già messo in pratica? Chiedici una consulenza!

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